Pubblico delle grandi occasioni al Carlo Felice per “Tosca”

Pubblico delle grandi occasioni al Carlo Felice per “Tosca”

Cornice festosa per un bello spettacolo che riprendeva la regia firmata alcuni anni fa da Davide Livermore proprio per il teatro genovese. Una lettura incisiva, moderna ma pucciniana nel dare spazio alle emozioni, alle passioni più violente. “Tosca” è l’opera più sadica del teatro musicale: tutti ingannano tutti e tutti alla fine soccombono. Ma è anche una storia dalle passioni estreme e Livermore le amplifica e le mostra anche quando (si pensi alle torture di Cavaradossi) Puccini le relegava fuori scena.

Livermore ha ideato una scena rotante costituita da un grande triangolo pendente che ruotando non solo genera i diversi spazi (la Chiesa, il Palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo), ma offre una visuale dell’azione da angolazioni differenti.

Bella l’idea finale di bloccare Tosca quando sta per gettarsi da Castel Sant’Angelo con l’Angelo che si protende verso di lei a volerla proteggere: un fermo immagine di stampo cinematografico e del resto che Puccini sia stato un precursore del cinema è stato sottolineato più volte.

La direzione musicale era affidata a Pier Giorgio Morandi che ha dato ampio fiato alla passionalità che attraversa i tre atti pucciniani. L’orchestra del Lucchese è densa, ricca, corposa e molto sonora. Abbandonarsi alla veemenza di certi slanci può risultare rischioso per l’equilibrio fra buca e palcoscenico. E in effetti in più di un’occasione le voci hanno faticato ad emergere come nella scena a Palazzo Farnese.

Le voci hanno in parte risentito di questo problema, tuttavia, hanno entusiasmato la platea nelle pagine più famose: così Maria Josè Siri, temperamento assai drammatico, ha ricevuto un’ovazione dopo “Vissi d’arte” al pari del generoso tenore Riccardo Massi dopo “E lucevan le stelle”. Efficace lo Scarpia di Amartuvshin Enkhbat e bene con i cori anche gli altri, da Dongho Kim a Matteo Peirone, da Manuel Pierattelli a Claudio Ottino e alla giovanissima Maria Guano.